Chi rappresenta il popolo? Non tu. La crisi venezuelana in pochi metri quadri
L’ambasciata venezuelana a Washington è occupata dai maduristi, 50 non venezuelani con la maglia di Chávez
Milano. Se non ci possono stare i maduristi, nell’ambasciata venezuelana a Washington, ci staremo noi, dice Medea Benjamin, capo di Code Pink, il gruppo di estrema sinistra che occupa la sede diplomatica dal 24 aprile scorso – quando gli Stati Uniti hanno revocato lo status diplomatico agli emissari di Maduro – per “evitare” che arrivino le feluche dell’impostore Juan Guaidó, il presidente dell’Assemblea nazionale sostenuto dagli americani. Gli occupanti sono circa una cinquantina, vivono, dormono, appendono cartelli, urlano nel megafono (e guardano “Game of Thrones”) dentro all’ambasciata: tra di loro di venezuelani ce ne sono giusto un paio. Fuori dall’ambasciata c’è un gruppo di venezuelani emigrati in America che sostiene Guaidó: gridano alla ridotta di Code Pink perché sostenere Maduro sia la scelta più antivenezuelana che si possa fare. Ci sono stati degli scontri, insulti e lanci di oggetti, la polizia è già intervenuta più volte. Gli occupanti non l’hanno presa bene, “ci siamo sentiti intimiditi”, ha scritto la Benjamin sul Washington Post, rilanciando i propri slogan: no all’invasione americana, no al golpe americano, no alla guerra americana per il petrolio, no ai pupazzi dell’imperialismo americano in Venezuela (cioè Guaidó). Intanto il diplomatico indicato da Donald Trump per la sede venezuelana, Carlos Vecchio, aspetta di poter prendere possesso dell’ambasciata.
Ma quando? Un cartello degli occupanti dice: “Carlos Vecchio non può fornire i servizi dell’ambasciata. Chiamate il Canada”, e le fonti vicine al neonominato ambasciatore dicono che il suo ingresso non è considerato imminente. Un giornalista di Vox, Alex Ward, è entrato nell’ambasciata e ha parlato con gli occupanti (molti indossavano magliette con la faccia di Hugo Chávez) che denunciano l’opportunismo di Guaidó, ricordano che già con Saddam Hussein in Iraq gli americani hanno sbagliato tutto e raccontano che la vita in Venezuela non è così terribile come viene descritta, non c’è tutta quella povertà di cui parlano i media internazionali. Fuori, i venezuelani che tendono a non dare i loro nomi perché hanno paura delle ripercussioni, rispondono: “Se sono così innamorati di Maduro e del Venezuela, perché non vanno là a vivere per un paio di mesi? Vediamo quanto gli piace”.
Il Collettivo a protezione dell’ambasciata – così si sono autodefiniti gli occupanti, che appartengono per lo più a Code Pink, ma ci sono altri gruppi di estrema sinistra: Answer Coalition, Popular Resistance e Black Alliance for Peace – dice di aver avuto il proprio mandato direttamente dal governo di Maduro, in modo da godere della legge internazionale che garantisce l’inviolabilità delle sedi diplomatiche: la polizia cioè non può entrare. Molti avvocati ed esperti di diritto dicono che in realtà per gli occupanti non valgono le norme applicate ai diplomatici, ma gli stessi sostenitori di Guaidó sono molto cauti: uno dei loro leader in Venezuela, Leopoldo López, è rifugiato nell’ambasciata spagnola a Caracas (il governo spagnolo non è affatto contento). Se la polizia entra nella sede di Washington, Maduro potrebbe far entrare i suoi nella sede spagnola in Venezuela.
Lo stallo nella palazzina a Georgetown rappresenta, in piccolo, lo stallo in Venezuela e quello a livello internazionale. Guaidó non riesce a imporsi, le pressioni internazionali a suo favore non sono abbastanza forti per far cadere Maduro, che gode di un appoggio concreto e ideologico non indifferente. Gran parte degli anti imperialisti, soprattutto di sinistra ma non solo (la Russia di Vladimir Putin sostiene Maduro, per dire), sbraita contro l’interventismo americano, sottolineando l’istinto golpista degli yankee e ignorando quasi del tutto il dramma del popolo venezuelano. Che è, secondo loro, o amplificato o l’esito della politica del regime sanzionatori americano (cui si aggiunge il solito: lo fanno per il petrolio!). I filo Maduro non sono soltanto gruppi minori o d’opposizione – in Italia c’è il Movimento 5 stelle, che è al governo – e Mike Pompeo, segretario di stato in visita a Londra, ha definito “disgustoso” il sostegno che il Labour di Jeremy Corbyn dà al regime venezuelano. L’Europa sta in bilico come un funambolo su quella neutralità che s’è scordata dei princìpi umanitari.
L'editoriale del direttore